Il paesaggio non esiste

Il paesaggio non è da cercare nelle apparenze dell’ambiente, bensì nella testa dell’osservatore.

Quanto più ciò che vede coincide con l’aspettativa – la fontana davanti al cancello, la tranquilla riva del lago, la piccola cima bianca – tanto più grande è la soddisfazione del visitatore.

Lucius Burckhardt

Siamo noi a leggere il paesaggio, ad attribuirgli qualità che di fatto non possiede. Siamo noi a definirlo selvaggio, o desolato, o malinconico in base alle nostre esperienze e memorie personali. La montagna, ad esempio, è un connubio tra una forma geologica e la nostra immaginazione. Le montagne non uccidono, non danno piacere, giacciono lì e basta e nei millenni si trasformano.

L’idea del paesaggio è dunque un’istantanea frutto dell’immaginazione e dell’emotività di fronte a una natura in divenire da milioni di anni. A proposito, le Alpi sono relativamente giovani, essendo apparse circa 65 milioni di anni fa. Il paesaggio è un atto creativo del nostro cervello, un atto che avviene mediante l’utilizzazione di filtri culturali e l’esclusione di certi elementi, ma anche attraverso processi d’integrazione verso una visione d’insieme. Insomma, costruiamo i nostri paesaggi in base all’educazione ricevuta. Perciò quando osserviamo un paesaggio in realtà stiamo facendo un’escursione nella nostra mente.

Prendiamo un vecchio castello, caso mai in rovina. Ma che bel castello ci viene subito da dire. Perché nella nostra testa abbiamo inculcato il concetto di luogo ameno, dimenticando caso mai che quel castello era stato costruito come costruzione difensiva concepita per incutere terrore. Insomma, bisogna stare attenti con l’estetica del bello, dell’ameno, del carino, che ci porta a omologare le nostre visioni ed essere noi stessi omologati dall’estetica imposta dall’industria del turismo.